I controlli del fisco sul conto corrente di professionisti e autonomi

I controlli del fisco sul conto corrente di professionisti e autonomi

Quando l’Agenzia delle Entrate si mette alla ricerca dell’evasione fiscale spesso si affaccia sui conti correnti dei contribuenti per verificare se, su di essi, transitano somme che non trovano riscontro nella dichiarazione dei redditi o nella contabilità. In tal caso, tali somme si presumono “ricavi in nero” e costituiscono la base di calcolo per l’applicazione di ulteriori imposte e sanzioni. A stabilirlo è la legge [1] che pone una presunzione di evasione a favore del fisco per tutti i bonifici ricevuti o i versamenti di contanti che non possono essere giustificati, ossia per i quali il contribuente non è in grado di fornire spiegazioni. Questa regola vale sia per i lavoratori dipendenti, i pensionati e i disoccupati. Per gli imprenditori, invece, il regime è molto più rigoroso: visto che ogni movimento di cassa deve essere registrato in contabilità, i controlli si estendono anche ai prelievi dal conto.

Esiste poi una categoria di mezzo: quella degli autonomi. Partite Iva e professionisti come vengono trattati? A stabilire come avvengono i controlli del fisco sul conto corrente dei professionisti e delle partite Iva è stata la giurisprudenza della Cassazione che, con una recente sentenza [2], ha peraltro fornito un ulteriore tassello al già contorto mosaico. Ma procediamo con ordine.

L’indagine finanziaria è l’attività posta in essere dall’Amministrazione Finanziaria al fine di acquisire informazioni, notizie e dati in riferimento ad un rapporto, continuativo o occasionale, intrattenuto presso qualsiasi istituto finanziario, al fine di individuare operazioni economiche occulte e quantificare un eventuale maggior reddito.

La legge Finanziaria 2005 [3] ha introdotto una serie di nuove regole che prevedono poteri più incisivi per la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate in materia di indagini bancarie.

II testo della norma che il reddito e la base imponibile Iva possono essere presuntivamente determinati, considerando maggiori ricavi o elementi positivi:

i versamenti, risultanti sui conti finanziari, ove il contribuente non dimostri di averne tenuto conto nella determinazione dei suddetti imponibili, ovvero che essi siano a tal fine irrilevanti;

i prelevamenti, effettuati sui medesimi conti, se il contribuente non ne indichi i beneficiari ovvero non siano annotati nelle scritture contabili.

Gli importi riscossi e i prelievi, riscontrati a seguito di indagini bancarie, sono dunque considerati quali ricavi e posti a base delle rettifiche e accertamenti, a meno che il contribuente, per vincere la presunzione, non ne indichi il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.

La presunzione è relativa, può cioè essere scalfita con prova contraria. Spetta al contribuente dimostrare che le somme accertate dal fisco:

sono state già tassate alla fonte (ad esempio una vincita al gioco)

o sono esenti (ad esempio un risarcimento, una donazione o la vendita di un oggetto usato).

La legge [4] aveva poi esteso anche ai professionisti l’applicabilità delle disposizioni relative ai controlli sui prelievi, stabilendo che detti movimenti potessero essere assunti come “compensi”. E tanto aveva precisato anche l’Agenzia delle Entrate [5].

La sentenza della Corte Costituzionale che ha liberato autonomi e professionisti

Nel 2014 la Corte Costituzionale ha però dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma appena citata con riferimento solo ai prelievi dal conto effettuati dai professionisti e autonomi [6].

La pronuncia ha fatto sì che i titolari di reddito di lavoro autonomo e professionisti non possano più essere soggetti ad accertamenti fondati su presunzioni legali relative ai prelievi dal conto corrente. Diverso il discorso per i versamenti che, invece, restano sempre da giustificare.

Relativamente ai titolari di reddito di impresa è stato previsto un parametro quantitativo oltre il quale scatta la presunzione di evasione, vale a dire prelievi o versamenti di importi superiori a Euro 1.000 giornalieri e a Euro 5.000 mensili.

La nuova sentenza della Cassazione sui controlli sul conto di autonomi e professionisti

In passato la Corte ha sempre sostenuto i lavoratori autonomi e i professionisti non possono essere equiparati agli imprenditori, non essendovi per questi né l’obbligo di una contabilità separata, né di un conto destinato all’attività lavorativa. Sicché si è sempre detto che per professionisti e autonomi, in generale, i controlli fiscali possono avvenire solo sui versamenti sul conto e sui bonifici ricevuti, non anche sui prelievi. Il tutto in linea con la pronuncia della Corte Costituzionale.

Una recente sentenza della Cassazione [2] cambia però completamente le carte in tavola. Secondo il nuovo indirizzo i controlli del fisco sul conto corrente dei professionisti possono avvenire anche sui prelievi. E questo perché la norma che stabilisce la presunzione di evasione fiscale per tutte le movimentazioni bancarie non giustificate, nel riferirsi a prelievi e versamenti, ha portata generale e quindi si riferisce anche ai titolari di partita Iva, non solo agli imprenditori.

Risultato: può essere condannato per evasione fiscale il professionista che non riesce a giustificare non solo i versamenti ma anche i prelievi che ha sul conto corrente bancario.

 

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